L'angolo dello scrittore

Alveare. Il dominio invisibile e spietato della ‘ndrangheta del Nord

27 maggio 2011 di Nunzio Festa
Giuseppe Catozzella, giornalista e scrittore d’origini lucane, ma a volte suo malgrado e a volte per fortuna della Milano del capitalismo a trattazione ‘ndranghetista, con la lingua rapida agile ed evocativa di “Alveare” descrive luoghi e soprattutto vite capaci di farci sentire il maleodorante urlo dei fatti, le grida d’una realtà che non vuole essere spiegata dalla medium epperò si fa raccontare spesso da indagini e, soprattutto, dall’urto fra le persone che lavorano o non lavorano senza la necessità dell’affiliazione all’illegale e quelle che per scelte, spesso causate e richieste dall’appartenenza famigliare e alla facilità del guadagno, nell’illegalità che sconfigge la ricerca del progresso vivono e/o vogliono vivere. La struttura del libro, solamente per affinità di temi affrontati e vocazione autoriale dell’Autore stesso, rimanda al più noto “Gomorra”. Eppure la differenza sostanziale fra i due romanzi, anomali romanzi, certo, però pur sempre romanzi-reportage risiede, e non è stato semplice accorgercene, nel punto di vista del soggetto. Perché se è vero che in “Alveare. Il dominio invisibile e spietato della ‘ndrangheta nel Nord” il protagonista delle ‘osservazioni’ s’immedesima quasi interamente nelle storie che riporta, è allo stesso modo certo che nell’opera praticamente corale dello spregiudicato Catozzella, che non ha paura infatti di citare tante volte le divinità di tutti i campi e campetti, il carattere di chi racconta si mette in parallelo alle stesse realtà, oltre a farsene carico a forza di malessere interiore ed esternato. A differenza, insomma, per giunta, di Roberto Saviano che s’esprime sempre e comunque nei meandri dell’ascolto che vuole essere solo e soltanto, perdonateci la banalizzazione, testimonianza a mo’ di forte impegno civile. Se pur, ovviamente, entrambi i testi siano, quasi per forza di cose, “lavori” profondamente impegnati e partoriti per spirito etico a parte che per deformazione professionale dei giornalisti-scrittori che li compongono. Catozzella, dunque, facendoci spiare l’esistenza d’alcuni personaggi esemplari, mito-personaggi a loro volta, ci spiega per esempio veramente quanto conta e quello che vale per Milano e poi per il resto della geografica mondiale la cocaina che si materializza nelle narici dei professionisti e nei nasi dei poveri. E cosa significa stare nella latitudine contabile dove convivono aziende a centinaia di migliaia, impossibili dunque da controllare, insieme a uno spazio immenso di scambi denominato Ortofrutta e insieme ai progetti della solita ‘ndrangheta per fare business già mentre dell’Expo pochi sapevano. Che la ‘ndrangheta, ovvero quel soggetto che da decenni ammazza e commercia e s’espande ben oltre la Calabria fino a impossessarsi del capoluogo lombardo e non solo, è stata così efficiente, da decenni, a costruire e stabilizzare legami, in più dei patti di sangue, con dirigenti politici personale corrotto della polizia bancari e imprenditori amici se non proprio fratelli. Passando per i giovanissimi Vincenzo e Mario, quando il primo sarà un pezzo di futuro pronto a chiarire altre dinamiche mafiose, Giuseppe Catozzella descrive le periferie mentre non perde di vista il cuore della finanza. La ‘ndrangheta, in sostanza, a Nord è tutto. O quasi. Che anche qui c’è chi tenta di non farsi rapire. Ma a Milano sia il sistema economico, dice Catozzella, sia il sistema sociale sono contaminati. E non da qualche giorno. Parimenti alla conquista delle strade periferiche e dei baretti degli emigrati, la ‘ndrangheta ha scavato i terreni con gli escavatori per posizionare i rifiuti di tutti e in contemporanea ha scalato le apparentemente intoccabili stanze dei bottoncini che spostano il potere virtuale dell’euro. Quindi, ci ricorda l’autore, penna adesso molto apprezzata de L’Espresso, è utilissimo al Nord che nascano e muoiano imprese per il Male assolutamente asservite al compito del riciclo del denaro sporco. E se il protagonista ha in testa l’immagine del padre, operaio che muore sotto le mani d’una sanità che a Pavia è stata questa morte da romanzo e persino corruzione rintracciata in inchieste comunque recenti, l’esempio al quale guardare è appunto fatto dai calabresi e da altri meridionali che per merito di sacrifici e patimenti hanno fatto grande e importante una Milano che è più di Milano guardando all’hinterland eccetera. A sacrifici e braccia rotte. A malattie che possono essere, tante volte, causate dallo stesso inquinamento cresciuto negli anni dell’avanzata, fianco a fianco, di capitalismo e ‘ndrangheta. E’ vero, allora, che “questo romanzo è inquietante perché non inventa nulla”. Ma nell’alveare è giusto posizionare l’obiettivo